Quale legge elettorale potrà adottare il Parlamento qualora la riforma fosse approvata in via definitiva?
di Paolo Becchi e Giuseppe Palma 03 Aprile 2024
Vi invito a leggere queste proposte, che per quanto siano di carattere tecnico costituzionale, ci riguardano come cittadini. Alla luce del fatto anche che tali proposte, si stanno facendo strada all’interno degli apparati governativi, vista pure l’evidenza e la vetrina che il sole24ore mi sta offrendo negli ultimi tempi per tali argomentazioni.
La commissione affari costituzionali del Senato ha approvato in prima lettura il ddl di revisione costituzionale che prevede l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri, presentato dal Governo a firma Meloni-Casellati. Il testo iniziale ha subìto alcune modifiche e probabilmente altre ne subirà nel prosieguo dell’iter parlamentare previsto dall’art. 138 della Costituzione.
Ora il ddl passa all’aula del Senato e poi, se approvato, alla commissione affari costituzionali della Camera e successivamente all’aula, dove avrà termine la prima deliberazione (il ddl deve ovviamente essere approvato da entrambe le camere nel medesimo testo). Trascorsi almeno tre mesi, il testo licenziato in prima deliberazione (a maggioranza dei presenti) dovrà essere approvato in seconda deliberazione da entrambi i rami del Parlamento (prima in commissione e poi dall’aula) quantomeno a maggioranza dei componenti di ciascuna camera. In seconda deliberazione il testo può essere solo approvato o respinto, senza modifiche rispetto al testo approvato in prima deliberazione. Giunti a questo punto, se entro i successivi tre mesi ne facessero richiesta un quinto dei componenti anche di una sola camera, oppure cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali, la riforma dovrà essere sottoposta a referendum popolare di tipo confermativo (senza quorum costitutivo). Se invece in seconda deliberazione il testo fosse approvato da entrambe le camere a maggioranza dei due terzi dei componenti (non è questo il caso), la riforma si intende approvata senza procedere a referendum.
Uno dei nodi cruciali della riforma è, a nostro avviso, quello del sistema elettorale con cui eleggere il Presidente del Consiglio e le Camere. La versione originaria del ddl Meloni-Casellati, come è noto, aveva introdotto in Costituzione un premio tale da garantire “il 55 per cento dei seggi in ciascuna delle due Camere”. La cosa aveva suscitato più di una critica e, per questa ragione, il testo è stato emendato dalla commissione affari costituzionali del Senato eliminando quella percentuale numerica e inserendo in Costituzione soltanto il riferimento a “un premio su base nazionale”.
L’emendamento approvato conferma la costituzionalizzazione del sistema elettorale maggioritario (garantendo pur sempre la rappresentatività) e demanda alle Camere il diritto di scegliere i meccanismi elettorali ritenuti più idonei, ponendo come principio la necessità di dover garantire la formazione di una maggioranza solida in entrambe le Camere. Sarà dunque il Parlamento, se la riforma fosse approvata in via definitiva, a dettare le regole del gioco.
A questo punto ci si può porre la domanda: quale legge elettorale potrà adottare il Parlamento qualora la riforma fosse approvata in via definitiva? Le strade, secondo noi, sono due.
La prima. Nel sistema first-past-the-post, dove i seggi sono attribuiti ai candidati che – in ciascun collegio uninominale a turno unico – ottengono un solo voto in più rispetto agli altri, il premio di maggioranza potrebbe consistere nell’attribuire, alla lista che ha ottenuto più seggi, un ulteriore numero di scranni – che garantisca la maggioranza assoluta in entrambe le Camere – prendendoli dai migliori perdenti (cioè quelli arrivati secondi nei collegi uninominali) della lista medesima, fino al raggiungimento della soglia premiale stabilita per legge. Tecnicamente, per poter giungere all’applicazione del suddetto premio di maggioranza, i seggi assegnati col sistema first-past-the-post devono essere in numero inferiore a quelli di cui si compone ciascuna camera, lasciando che il numero dei seggi residui costituisca il premio di maggioranza da attribuire alla lista che ha ottenuto più seggi nel computo complessivo dei collegi uninominali. Nel rispetto della sentenza della Corte costituzionale n.1/2014, il premio di maggioranza troverebbe legittima applicazione solo se i seggi ottenuti dalla lista con più seggi fossero in numero non inferiore ad una soglia minima predeterminata per legge. Cosa accadrebbe se nessuna lista ottenesse la soglia minima di seggi tale da far scattare il premio di maggioranza? Si tratta di una ipotesi molto difficile da realizzarsi perché il sistema dei collegi uninominali a turno unico (secco, all’inglese) trasforma un sistema politico frammentato in bipolare. Sarebbe in ogni caso, a nostro avviso, da evitare il doppio turno di collegio, sistema che porta alla formazione di alleanze improbabili al secondo turno, alleanze che mirano a far perdere chi aveva ottenuto più voti al primo turno (le cosiddette alleanze ad excludèndum).
La seconda via praticabile è invece quella di un sistema elettorale proporzionale con premio di maggioranza. Sul punto occorrerà tuttavia rispettare quanto statuito dalla Corte costituzionale non solo con sentenza n. 1/2014, ma anche con la n. 35/2017. In primis, il premio di maggioranza dovrà trovare applicazione in favore della lista o coalizione di liste arrivata prima, solo qualora questa abbia superato una soglia minima di voti predeterminata per legge. In caso contrario, non si potrà che procedere con la ripartizione dei seggi col solo sistema proporzionale. In secondo luogo, l’elezione dei membri delle Camere dovrà avvenire attribuendo all’elettore la facoltà di esprimere direttamente almeno una preferenza per i candidati, oppure attraverso i listini bloccati purché questi siano brevi ed i nominativi dei candidati siano espressamente indicati sulla scheda elettorale. Nodo ballottaggio. Per quanto concerne il sistema proporzionale con premio di maggioranza, si è visto che se nessuna lista o coalizione di liste raggiungesse una soglia minima di voti tale da legittimare l’applicazione del premio di maggioranza, la ripartizione dei seggi – per forza di cose – avverrebbe col sistema proporzionale puro.
Una ipotesi che mal di confà con l’elezione diretta del Presidente del Consiglio e con la necessità di garantire la formazione di una maggioranza parlamentare. Che fare allora? Una soluzione praticabile potrebbe essere quella di introdurre un secondo turno, vale a dire il ballottaggio tra le liste o coalizioni di liste arrivate prima e seconda nella contesa del primo turno. A tal riguardo occorrerebbe tuttavia rispettare quanto statuito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 35/2017, cioè consentire il secondo turno solo qualora al primo turno le liste o coalizioni arrivate prima e seconda abbiano raggiunto una percentuale minima di voti che ne legittimi l’accesso al ballottaggio.
Riteniamo possibili entrambi i sistemi elettorali, purché vengano rispettate le decisioni finora assunte dalla Corte costituzionale. Partire col piede sbagliato non converrebbe a nessuno.